Quest’anno festeggiamo 100 anni dalla vittoria della Rivoluzione di Ottobre, di quei «10 giorni che cambiarono il mondo» e che per molti anni trasmisero un entusiasmo travolgente a gran parte della sinistra e del movimento dei lavoratori a livello mondiale, a tutti coloro che speravano che quell’avvenimento avrebbe rappresentato la nascita di un nuovo mondo, di un mondo migliore. 

Perché poi quest’esperienza alla fine sia finita male, per intanto non l’abbiamo ancora capito sino in fondo. È quindi necessario continuare ad analizzare e studiare quanto capitato, non solo nell’Unione Sovietica, ma forse e soprattutto nei paesi dell’Europa Orientale, dopo la fine della seconda guerra mondiale. In questo senso è molto utile questo libro di Sándor Kopácsi (Edizioni e/o), giovane operaio ungherese, che si unisce alla Resistenza contro i tedeschi, saluta con entusiasmo l’arrivo delle truppe sovietiche, entra nel partito comunista e conosce una rapida carriera che lo porterà a diventare questore di Budapest a soli 30 anni. Come tale, andrà incontro a quel fatale autunno del 1956, di cui tratta soprattutto questo libro, quando la sollevazione di Budapest rappresenta la prima vera grande tragedia, che squarcia il velo d’ipocrisia che circondava il mondo stalinista.

L’autore racconta tutto ciò soprattutto attraverso la sua storia personale, mostrando molto bene come una fede assoluta nella bontà delle scelte del partito, gli avesse impedito di accorgersi di quanto stava capitando, anche quando compagni autorevoli avevano cercato di mostrargli come le varie purghe staliniste fossero semplicemente delle storie montate dai servizi di sicurezza sovietici. Ma come poteva egli dubitare del primo ministro Rákos, allora uomo forte in Ungheria, che aveva guidato il battaglione ungherese delle Brigate Internazionali in Spagna, distinguendosi per un grande eroismo? Così nel marzo del 1953 Kopácsi si trova a piangere la morte di Stalin, finché arriva lo shock della denuncia da parte di Kruscev nel 1956, che seminerà poi anche i germogli della rivolta ungherese. Così come questore affronta l’inizio dell’insurrezione del 23 ottobre senza capirne il perché, anche se poi gli eventi lo trascinano e saranno i proclami del governo «comunista riformista» guidato da Imre Nagy a farlo passare dalla parte degli insorti, che finisce per considerare la vera anima del movimento operaio al quale egli deve restare fedele.

Di questa scelta dovrà poi rispondere dopo la repressione della rivolta, quando dovrà sottoporsi alla giustizia dei vincitori, ciò che gli ricorderà i processi staliniani che lui in precedenza aveva difeso. Proprio perché il libro racconta una storia personale, lo si legge facilmente, tutto d’un fiato e con grossa compartecipazione emotiva. A chi volesse trovare spiegazioni più «scientifiche», raccomando quale lettura attuale il libro «Camarades on apparatchiks?»: Les Communistes en RDA et Tchécoslovaquie 1945-1989, M. Christian, ed. PhF, 2016.