Ilan Pappé è direttore del Centro europeo per gli studi sulla Palestina presso l’Università di Exeter in Gran Bretagna, dove vive quale ebreo israeliano in esilio a seguito delle molte minacce ricevute in patria.
Pappé è sicuramente il più conosciuto dei cosiddetti “nuovi storici critici” israeliani, soprattutto grazie al suo bestseller “La pulizia etnica della Palestina” (Fazi Editore, 2008). In questa ultima e ben leggibile pubblicazione, Pappé riassume in poco più 100 pagine tutta la storia del conflitto israelo-palestinese. Questo difatti non è cominciato, come sembrerebbe spesso leggendo molti media occidentali, con l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 e neppure nel 1967, quando Israele ha occupato la Cisgiordania. Secondo Pappé tutto non è iniziato neanche nel 1948, quando è stato realizzato lo Stato ebraico, ma nel 1882, quando i primi coloni sionisti sono arrivati in quella che era la Palestina ottomana. E sempre in poche pagine l’autore descrive in modo molto chiaro le principali tappe di questo conflitto, in particolare in relazione alla 1a e alla 2a Guerra Mondiale e agli interessi coloniali dell’Impero Britannico, a lungo la forza determinante nel permettere dapprima e favorire poi l’insediamento sionista in Palestina. Pensando alla tragedia e al genocidio attuale, il libro di Pappé chiarisce però un punto fondamentale. Spesso a me è capitato di pensare al comportamento di Israele nei Territori Occupati ed a Gaza come a quello di una potenza coloniale, come p. es. la Francia in Algeria. Mi accorgevo però che qualcosa in questo ragionamento non filava liscio.
Ora Pappé distingue chiaramente tra il colonialismo classico occidentale e quello che egli definisce come un movimento coloniale insediativo. I movimenti coloniali insediativi sono movimenti di coloni europei che hanno cercato di costruirsi una nuova patria al di fuori dell’Europa, dove non erano più graditi. In tutti quei casi scelsero però luoghi dove vivevano già altre persone. Pensiamo ai coloni anglosassoni in America, in Australia o a quelli boeri in Sudafrica. I nativi di quei luoghi furono quindi sempre visti da questi movimenti coloniali insediativi come un ostacolo da rimuovere. Ecco perché sin dall’inizio i leader sionisti espressero sempre la necessità di trasferire appena possibile i palestinesi, ecco perché già negli anni ’30 del secolo scorso ci furono quindi i primi atti di pulizia etnica contro i contadini palestinesi, pulizia etnica che da allora continua sino ai nostri giorni, seguendo la logica dell’eliminazione dei nativi. Proprio perciò e al di là delle idee professate da diversi suoi esponenti, con le quali Pappé non è sempre d’accordo, egli invita a considerare la resistenza palestinese innanzitutto come movimento anticoloniale. Per quanto riguarda il futuro, l’autore riafferma come purtroppo la soluzione dei due Stati sia ormai fallita, perché di fatto non più praticabile. Egli ritiene che una vera soluzione debba quindi affrontare i problemi dei rifugiati palestinesi e della minoranza palestinese all’interno di Israele. E questo si può fare “solo nell’ambito di una soluzione democratica a uno Stato in cui tutti, palestinesi o israeliani, godano di pari diritto e abbiano libertà di movimento in tutta la Palestina storica”. Soluzione che Pappè riconosce come molto difficile, ma inevitabile. Una possibile speranza potrebbe derivare secondo lui dal fatto che tra gli ebrei laici e gli ebrei religiosi in Israele c’è sempre meno terreno comune, a parte l’odio verso gli arabi in generale ed i palestinesi in particolare. Ma non è su questa base che Israele potrà garantirsi una stabilità a lunga scadenza. Da questa profonda spaccatura potrebbe forse, così almeno si augura Pappé, nascere una nuova speranza non solo per la Palestina, ma per l’intero Medio Oriente.
Testimonianza sconvolgente
Chi vuole leggere una testimonianza sconvolgente della pulizia etnica fatta dai sionisti nel 1948 ai danni dei palestinesi, legga “La rabbia del vento”, S. Yizhar, Einaudi 2005. È il racconto da parte di un soldato israeliano, che si ribella agli ordini disumani dei suoi superiori.