Il titolo mi ha attratto da una bacheca tutta dedicata a Michela Murgia, recentemente scomparsa. Ero già stato impressionato dal suo “Accabadora”, storia di una figura particolare di alcuni villaggi sardi, ascoltato come audiolibro letto proprio dall’autrice: accento dolce e tono mai sopra le righe, anche se la forza della storia e della lingua l’avrebbero quasi permesso.

Dalle prime frasi traspaiono la libertà e l’intelligenza dell’argomentazione: “Essere democratici è una fatica immane”, dice Murgia. Perché bisogna confrontarsi con l’avversario e arrivare a una soluzione che tenga conto dei suoi valori e dei fatti, validata con strumenti complessi, lenti e costosi. Essere fascisti, invece, è semplice. Basta affidarsi a un Capo, meglio se dotato di difetti appariscenti, così anche le nostre pecche e la nostra ignoranza non saranno più da correggere, anzi, saranno tramutate in caratteristiche di cui essere fieri. Il Capo apparirà come il nostro protettore e deciderà lui come sconfiggere i nostri nemici, coloro che, soli, sono all’origine dei nostri problemi. 

Murgia sviluppa la dialettica tra il Leader democratico, che ha bisogno di un consenso, e il suo opposto: il Capo, che decide anche senza approvazione; tra l’avversario, che il Leader deve ascoltare e rispettare, e il nemico che il Capo vuole invece mettere fuori; nasce così il confronto tra chi tiene conto dei fatti e delle conoscenze di chi ha studiato un problema per anni e chi disprezza le prove e la scienza. Il Leader democratico per farsi capire deve semplificare, lavoro difficile perché occorre togliere il superfluo. Il fascista invece banalizza: rimuove interi aspetti del problema. Il Capo parla solo dei problemi che può attribuire al nemico, per risolvere in quali basterebbe toglierlo di mezzo. Se una materia difficile richiede una soluzione complessa per la quale il Capo non ha una soluzione (la crisi ambientale, per esempio), non ne parla, o dice che si tratta di una montatura del nemico. Se proprio il problema è evidente a tutti, comincia allora a seminare il dubbio che non vi sia accordo sulle cause, o che vi siano cose ben più importanti da affrontare prima.

Il nemico è scelto con attenzione: non deve avere un’identità definita (gli stranieri, i migranti o gli ecologisti), non deve poter difendersi, deve addossarsi le colpe di ogni membro della sua categoria. Così un furto sarà attribuito a un asilante, ma chi spara su una roulotte di Rom sarà invece semplicemente un balordo, tutt’al più da allontanare dal partito al quale è stato vicino per errore.

Anche le minacce contro i nostri vanno individuate con cura: per ogni categoria un suo nemico particolare. Per il ceto superiore sarà lo Stato le cui imposte sono descritte come un pizzo e il servizio pubblico come parassita. Per il ceto medio la minaccia saranno gli stranieri che rubano il lavoro, per il ceto inferiore gli stessi stranieri, ma che in questo caso non lavorano, e sottraggono i giustamente limitati sussidi. Il fatto che tutto ciò non regga alla verifica dei numeri non turba la retorica del Capo: la sua opinione, condivise dai nostri, vale ben più delle cifre.

Se il Leader democratico deve prendersi la responsabilità di costruire, il Capo fascista al contrario discredita. La cosa più importante da discreditare sono le istituzioni democratiche, inefficaci e troppo costose. Poi si erode la divisione dei poteri, per esempio nominando giudici vicini al Capo (basti pensare alla Corte Suprema americana), mettendoli al servizio dell’esecutivo; poi lo stato di diritto (la costituzione è meno importante dell’opinione e del volere del Capo), l’indipendenza e la qualità dell’informazione pubblica (si pensi anche da noi all’iniziativa “200 franchi bastano”). Poi si discreditano gli scienziati, i magistrati e in generale gli esperti, o anche semplicemente chi si dà la pena di raccogliere e interpretare i dati, per esempio, sui costi della salute o sull’ambiente. 

Murgia attira l’attenzione sul fatto che, come esseri umani, abbiamo tendenza a sentirci vittime, a volerci affidare, e a voler credere a soluzioni semplici che possano calmare le nostre paure. Osserva che lo strumento più efficace per distruggere la democrazia è semplicemente lasciare che le cose vadano come vanno, senza frenare ciò che aumenta le disuguaglianze. Anzi, benvenuti i tagli alla spesa pubblica, in particolare per l’istruzione e l’informazione, aggiungendo un pizzico del discredito di cui sopra: un popolo sofferente, giustamente preoccupato, male istruito, male informato e sfiduciato, si lascerà convincere e penserà che il Capo possa risolvere ogni problema mettendo fuori i nemici.

Questo libro, che mette in evidenza i metodi e la retorica fascista, fornisce anche delle leve azionabili per contrastarla? Certo, la sua lettura indica qualche strumento da usare nel dibattito politico, ma credo che Michela Murgia abbia voluto consegnarci qualcosa di più importante: il messaggio che se non facciamo niente per contrastare il degrado della democrazia (la pianticella fragile che Dick Marty su queste pagine invita ad accudire), la corrente delle crisi attuali ci porterà nelle braccia dei sovranismi. Solo un impegno civile, politico e intellettuale più intenso di quello che il fronte progressista ha saputo offrire negli scorsi anni, potrà risparmiare le sofferenze causate dai problemi che i sovranismi non saranno in grado di risolvere. Un richiamo all’impegno che vale la pena di ascoltare.

 

Una versione più dettagliata di questo testo, con referenze e link, è disponibile su www.majno.ch