“Tira aria di disgelo 2.0” tra Stati uniti e Cuba, afferma un diplomatico europeo con sede all’Avana. Si riferisce ai segnali sempre più numerosi provenienti da Washington che indicano la possibilità di un nuovo appeasement con l’Avana, apertamente auspicato da parte del governo cubano. 

Nelle ultime settimane – a vari livelli a iniziare dal presidente Miguel Díaz-Canel e proseguendo col ministro del Commercio estero e degli investimenti stranieri, Rodrigo Malmierca, e dei vertici del Ministero degli Esteri – è stata manifestata la volontà di dialogare con il potente vicino del Nord, sulla base dell’eguaglianza delle due parti e del rispetto della sovranità nazionale.

Non si tratta in questa occasione di formule rito. Una fitta serie di incontri ad alti e medi livelli dimostra che il processo è in corso in settori cruciali, emigrazione in primis, tema incandescente per l’amministrazione Biden e che preoccupa molto l’Avana dato l’alto incremento di cittadini cubani che lasciano l’isola per tentare di entrare negli Usa (più di 200.000 nell’ultimo anno).

Dalle buone relazioni riprese in questo campo, ha affermato il vice ministro degli Esteri, Carlos Fernandez de Cossío, «non si può scartare che vi sia dialogo anche in altri temi chiave» delle relazioni bilaterali. L’Avana chiede la fine di una serie di misure di strangolamento economico messe in atto dal precedente presidente Tump (in aggiunta a quelle sessantennali dell’embargo), di cancellare in tempi urgenti Cuba dalla lista nera statunitense dei «paesi che favoriscono il terrorisimo» e aperture finanziario- commerciali da parte degli Usa.

 

Altre priorità a Washington

L’Amministrazione Biden, dopo aver evitato di misura una secca sconfitta nelle elezioni di medio termine, ha realizzato che è inutile inseguire i falchi della contra della Florida e che, in una situazione di pericolosa crisi internazionale innescata dalla guerra in Ucraina, conviene cambiare politica nei confronti dei paesi progressisti a Sud del Rio Bravo. 

Cambio già in atto nei confronti del Venezuela, che dispone delle maggiori riserve energetiche del mondo. E dove il burattino di Trump, l’autoproclamato presidente Juan Guaidó ormai da molti mesi ridotto a uno zombie, decadrà anche formalmente in gennaio. I colloqui di alti funzionari statunitensi col presidente Maduro sono avviati già da un paio di mesi e la “riabilitazione” del presidente bolivariano è confermata anche dall’appoggio della Francia e di altri paesi europei – oltre che degli alleati strategici, Cina e Russia. Il presidente eletto venezuelano, a sua volta, afferma di voler procedere al dialogo con l’opposizione in vista delle prossime elezioni presidenziali.

La vittoria elettorale prima di Gustavo Petro in Colombia e poi di Lula da Silva in Brasile ha fatto emergere in due stati chiave del subcontinente l’attualità di un progressismo latinoamericano che persegue nuovi meccanismi di integrazione regionale (compresa una moneta unica latinoamericana). E che, avendo conquistato nuovi rapporti di forza nella regione, è disposto a trattare  su base pragmatica e non ideologica con gli Stati Uniti.

Una linea questa già perseguita con successo dal presidente messicano Andrés Manuel López Obrador. E che prevede un appoggio chiaro e diretto anche a un processo di appeasement tra Stati uniti e Cuba.

 

Biden apre un pochettino

Sono ormai evidenti i segnali da parte dell’amministrazione Biden di voler attuare un parziale disgelo con l’Avana anche se non di un ritorno alle posizioni espresse più di sei anni fa dal presidente Obama, ovvero della necessità di mettere fine all’embargo. L’Ambasciata Usa nella capitale cubana riprenderà a pieno ritmo il 4 gennaio le attività consolari chiuse per ordine di Trump dopo le provocatorie accuse di «attacchi sonici» a diplomatici statunitensi. È stato anche rinnovato l’impegno a concedere a cittadini cubani 20.000 visti l’anno, come previsto da precedenti trattati, quasi mai rispettati da parte degli Usa. Sono state tolte restrizioni alla ripresa di voli verso l’isola da parte di compagnie nordamericane, come pure per i viaggi culturali a Cuba. Infine, il quotidiano inglese The Indipendent ha riferito di segnali che indicano la disponibilità del Dipartimento di Stato Usa a togliere Cuba dalla lista nera dei paesi legati al terrorismo.

Il 17 novembre, inoltre, l’agenzia VaCuba, con sede a Miami, ha ricevuto una licenza da parte del governo federale per operare l’invio di rimesse nell’isola con la mediazione dell’impresa statale cubana Orbit S.A, mettendo così fine alle misure di boicottaggio decise da Trump. Le rimesse dei cubano-americani costituiscono la maggior entrata per il bilancio in forte crisi dell’isola, assieme ai servizi medici all’estero e al turismo, che però fa fatica a riprendere quota dopo la pandemia di Covid. 

Parallelamente sono aumentate le richieste di «un allargamento sia del commercio sia degli investimenti nordamericani a Cuba» da parte di imprenditori come Joe García, ex deputato della Florida, e Phil Peters, uno dei creatori di Focus Cuba, specializzata in consulenze per società statunitensi interessate a investire nell’isola caraibica. 

Garcia ha fatto parte di una delegazione di imprenditori statunitensi che all’inizio di novembre si è incontrata col presidente Díaz-Canel, il quale ha ribadito la disponibilità cubana di aprire agli investimenti di imprenditori statunitensi e anche cubano-americani. Infatti nella recentemente conclusa 38° Fiera internazionale dell’Avana, vi era un importante, anche se ridotto, settore di esportatori Usa come Usa Poultry and Eggs. 

 

La crisi morde

Cuba attraversa la peggiore crisi dai tempi dello scioglimento dell’Urss ( 1991). Lo strangolamento economico-commerciale finanziario attuato da Trump e mantenuto fino a poche settimane fa dall’Amministrazione Biden ha colpito i settori vitali dell’economia cubana, rimesse, turismo, approvvigionamento energetico, investimenti esteri. Le misure messe in campo dal governo per affrontare questa situazione si sono rivelate parziali, tardive o addirittura controproducenti, come la riforma monetaria, Tarea Ordenamiento che invece di rafforzare il peso cubano lo ha messo in balia della speculazione. Il risultato è che le casse dello Stato sono praticamente vuote, mentre tutti gli indicatori della produzione sono in calo – in modo drammatico nel settore dello zucchero. L’estrema scarsezza di beni di prima necessità assieme agli effetti della crisi internazionale ha messo il vento in poppa all’inflazione. Oggi al “mercato parallelo” sono necessari 175 pesos per comprare un euro. Il salario medio, circa 3800 pesos, vale dunque meno di 25 euro. I prezzi sono proibitivi, una libbra di pomodori costa 250 pesos, un aguacate 80, il pane al mercato libero costa 200 pesos per pochi panini, una libbra di maiale può arrivare a 900 pesos. Molti prodotti bisogna comprarli in negozi in Mlc, moneda libremente convertible, ovvero dollari o euro.

Il governo mantiene come può i programmi sociali. Ma ha sempre meno fondi a disposizione. Così anche i settori di punta come la sanità, la scuola e lo sport ne risentono pesantemente. È vero che il Covid, stante le statistiche ufficiali, è ormai sotto controllo, con poche unità al giorno di contagiati. Ma il dengue ha messo a dura prova gli ospedali e soprattutto le farmacie, che offrono desolanti scaffali vuoti. Molti prodotti necessari per alimentare l’industria nazionale di medicinali sono off limits per l’embargo o per i costi troppo alti. Nei socials media i messaggi di richiesta di medicinali di base si moltiplicano.