Come prima cosa constato che né Franco, né Traverso e nemmeno Pappé portano elementi convincenti per contrastare i miei argomenti in favore della soluzione a due stati. Detto per inciso: la proposta di Olmert e Nasser Al Qudwa non è vecchia di 20 anni, ma è del mese scorso; se la avanzano, vuol dire che la ritengono valida ancora oggi.
I tre autori che la negano, si basano sull’affermazione che i coloni in Cisgiordania sono “inamovibili”: come mai??? La fine di ogni periodo coloniale ha sempre comportato la cacciata di migliaia di invasori stranieri (in Algeria, nei primi anni Sessanta hanno dovuto fare la valigia 1,5 milioni di Francesi, che vi erano ben più radicati dei coloni ebrei in Cisgiordania). Si tratta di una posizione passiva, rinunciataria. Così dicendo si abdica all’impegno per fare applicare il diritto internazionale, dando per scontato che l’ONU non riuscirà mai a imporlo, ci s’inchina agli obiettivi dello stato sionista (“Questa terra è nostra per volere divino”), si distruggono le speranze ed aspirazioni del popolo palestinese e - fatto più grave di tutti – si legalizza di fatto la posizione dei coloni. Mentre è del tutto plausibile che una forte e unitaria pressione della comunità internazionale (rigorose sanzioni, boicottaggio totale dei rapporti con Israele, sia diplomatici che commerciali, militari e culturali) potrebbero incidere sulla qualità di vita della popolazione e causare uno spostamento dell’opinione pubblica interna (già ora non così compatta nel sostegno alla colonizzazione della Cisgiordania), che a sua volta potrebbe costringere il governo a intervenire, se del caso anche con la forza (come ha fatto nel 2005 a Gaza) per porvi termine; se poi questo dovesse sfociare in una guerra civile, vabbè, affare loro!
Un altro argomento debole riguarda l’asserita esiguità di un futuro stato palestinese. La Cisgiordania (5655 Kmq) ha una superficie maggiore di quella di parecchi stati, che pure ce la fanno egregiamente. La popolazione di 3 milioni, con una densità più o meno pari a quella dell’Olanda, concorre anch’essa allo scopo; espellendo 800'000 coloni, si farebbe posto ad almeno il doppio di rifugiati dai campi (dato che i Palestinesi hanno consuetudini di convivenza meno bisognose di spazio); con i 2 milioni di Gazawi, ovviamente collegati territorialmente, avremmo uno stato di tutto rispetto e perfettamente gestibile (sebbene, concedo, che qualche mq in più, gentilmente concesso da Israele sul totale rubato nel corso degli anni, non sarebbe male. O, già che ci si muove nel campo di visioni futuribili, perché non ipotizzare un’eventuale fusione con la Giordania?).
Franco cita poi la frase di Pappé che “una vera soluzione deve affrontare i problemi dei rifugiati palestinesi…”. Parole del tutto campate in aria e pure contraddittorie: infatti, se si ritiene impossibile fare sloggiare i coloni, dove diavolo si sistemerebbero i milioni di profughi in attesa di potere condurre una vita decente? Si pensa forse che gli abitanti “legali” di Israele accetterebbero, per fare un favore ai compari” inamovibili” delle colonie, di vivere un po’ più stretti onde permettere il rientro dei vecchi residenti
In realtà, l’idea dello stato unico, con la sua totale assenza di proposte concrete in merito ai passi necessari alla sua realizzazione (a parte la fumosa formula “soluzione democratica”), equivale a congelare lo status quo, a seppellire i profughi nel limbo attuale (seppur detentori dei diritti civili!) o, nel “migliore" dei casi, a trasformare la Palestina in una specie di Sudafrica, con la componente sionista a dominare in tutti i campi e quella araba a fungere da massa subalterna.
È questo che si vuole?
Ad ogni modo – purtroppo – sia l’una che l’altra proposta/idea/soluzione si situano nella sfera onirica. Ora, se costretto a muovermi nel mondo dei sogni, io preferisco raffigurarmi i Palestinesi quali cittadini liberi di gestirsi da soli in una Palestina autonoma, piuttosto che come cittadini di seconda classe in uno stato retto da altri.