Nella situazione attuale risulta assai problematico formulare proposte per una futura pace in Palestina.

Per risolvere l’annosa questione ci sono da tempo sul tappeto due proposte: due stati o uno stato unico binazionale. Gli ambienti politici e di governo, dopo la crisi scoppiata il 7.10.23 auspicano la soluzione a due stati, senza peraltro proporre piani concreti e un preciso calendario. L’altra soluzione circola invece piuttosto in ambienti intellettuali, fra storici e conoscitori del problema.


Premessa

Prima di discutere sul futuro nuovo assetto statale della regione, vanno risolte almeno tre grandi questioni dall’implicazione storica, politica e giuridica: quella dei profughi palestinesi, quella degli insediamenti israeliani e quella del muro di separazione. Si tratta di questioni sulle quali da tempo il diritto internazionale ha statuito in modo chiaro: i profughi hanno il diritto al ritorno nella loro terra o al risarcimento, gli insediamenti sono illegali e vanno smantellati, il muro dev’essere demolito.


La soluzione ad uno stato unico

A prima vista, questa sembra la proposta migliore: chi non opterebbe per una convivenza pacifica tra due popoli, senza barriere ideologiche o statali?

Data la tragica vicenda storica che separa le due comunità, la grande diversità culturale, le antagonistiche aspirazioni politiche che nel corso degli anni hanno generato un elevato livello di odio e risentimento, la proposta mi sembra oggi del tutto irrealistica. Recentemente es- sa è però stata riproposta, tra altri, dagli storici Shlomo Sand (in articoli di stampa), Ilan Pappe e Enzo Traverso (n due libri recensiti in QA 50 e 52). Essi danno per obsoleta la soluzione a due stati a causa della situazione sul terreno, con i coloni ebrei in Cisgiordania e a Gerusalemme che Israele non accetterebbe mai di evacuare. Un altro argomento asserisce che, in un certo senso, la mescolanza dei due popoli esiste già oggi, ragione per cui basterebbe concedere ai Palestinesi tutti i diritti civili per spianare la strada alla futura convivenza pacifica. La prima di queste considerazioni non regge perché presuppone che ciò che non piace a Israele debba essere escluso in partenza da qualsiasi trattativa di pace; la seconda perché ammette implicitamente che i coloni potrebbero restare tranquillamente dove sono, vedendosi inoltre riconosciuta la cittadinanza del nuovo stato! Questi storici non esprimono inoltre idee concrete sul che fare oggi e sul come procedere per costruire questo famoso stato unico: mentre ne aspettiamo il parto si continua a distruggere Gaza, a lasciar deperire i profughi nei campi ed a invadere sempre nuovi pezzetti di Cisgiordania?


La soluzione a due stati

Visto come stanno le cose, oggi questa proposta mi sembra la più proponibile (o la meno improbabile), intesa come tappa intermedia di pace separata, nell’attesa che il tempo riesca pian piano ad attutire l’odio ed a favorire la reciproca accettazione… condizioni indispensabili in vista di un’auspicabile futura fusione. La storia del popolo palestinese, le immani sofferenze, i sogni infranti di parecchie generazioni, le migliaia di vite spezzate, la tenace e paziente resistenza ad un crudele nemico strapotente, fanno della sua aspirazione ad avere una patria sovrana, in cui autodeterminarsi politicamente e sviluppare in piena libertà le proprie potenzialità in tutti i campi della vita civile, una rivendicazione del tutto legittima e sostenibile. Per questo sarà necessario che le varie realtà geografiche palestinesi, oggi frammentate, si ricompattino in un territorio unitario. Perché il pieno esercizio dei diritti civili presuppone l’esistenza di una base territoriale, un luogo fisico in cui poterli praticare. Fare in modo che tutto ciò avvenga, dovrebbe essere – non solo a parole compito prioritario della comunità internazionale.
La soluzione a due stati è sostenuta in una recentissima proposta avanzata da Ehud Olmert, ex premier di Israele e sindaco di Gerusalemme, assieme a Nasser al Qudwa, nipote del leader palestinese Yasser Arafat, ex rappresentante dell’Olp alle Nazioni Unite dal 1991 al 2005 e ministro degli Esteri dell’Anp fino al 2006.
I punti fondamentali del disegno includono la creazione dello Stato palestinese col ritorno ai confini del 1967, la cessione del 4,4% della Cisgiordania da parte dei palestinesi agli israeliani in cambio di un altrettanto 4,4% di territorio israeliano, che fungerebbe da corridoio tra Gaza e Cisgiordania. La proposta prevede anche che la capitale dello Stato palestinese sarà Gerusalemme Est e che la Città vecchia di Gerusalemme sarà gestita congiuntamente da 5 Stati, tra i quali Israele e Palestina, in base a regole fissate dall’Onu.

 

 

Rispondiamo


Già nel 2008 quando ero stato nei Territori Occupati mi era diventato chiaro che in quella situazione di Apartheid, di territorio frantumato in tanti bantustan e con le centinaia di migliaia di inamovibili e ben impiantati coloni, uno stato Palestinese non era più praticamente pensabile: semplicemente sarebbe venuta a mancare la necessaria continuità territoriale. Cito in proposito la conclusione di Pappé nel libro che recensiamo in questo numero dei Quaderni: ”la soluzione dei 2 Stati non è più praticabile, data la presenza di 700.000 coloni in Cisgiordania e lo spostamento dell’intero sistema politico israeliano a destra”…

Inoltre “non può funzionare, perché si applica solo a una piccola porzione della Palestina (22%) e solo a una parte del popolo palestinese. Una vera soluzione deve affrontare i problemi dei rifugiati palestinesi e della minoranza palestinese all’interno di Israele. Questo si può fare solo… con una soluzione democratica a uno stato…”.

A proposito del piano Olmert del 2007-2008, Pappé riconosce che era l’unica proposta che poteva avere qualche potenziale, perché offriva una compensazione territoriale alla presenza dei grandi blocchi d’insediamento dei coloni, a cui anche Olmert non voleva/poteva rinunciare. Per Pappé però anche Olmert “non poteva tollerare uno stato palestinese genuinamente indipendente e sovrano accanto a Israele. Gli israeliani volevano uno stato fantoccio che non potesse mai trasformarsi in un vicino ostile”. Il piano Olmert fallì semplicemente perché lui fu obbligato a dimettersi, a seguito di episodi di corruzione, per le quali fu anche incarcerato. Il suo successore fu Netanyahu, il resto della storia la conosciamo. E tutto quanto Netanyahu ha fatto è stato, con una serie di decisioni sul terreno, rendere del tutto impossibile la soluzione dei 2 Stati: anche perciò inizialmente aveva sostenuto Hamas in funzione anti-ANP.

Franco Cavalli