Perché hanno ritardato ad annunciare queste misure di rilancio? E perché anche quelle comunicate venerdì 8 novembre dal ministro delle finanze Lan Fo’an mirano solo a risanare le finanze degli enti locali?
La Cina ha deciso di “salvare” gli enti locali con uno stanziamento di 1’400 miliardi dollari, ma non ha contemporaneamente annunciato alcuna misura volta a rivitalizzare il mercato immobiliare e i consumi deludendo le aspettative. La scelta di privilegiare gli enti locali è facilmente comprensibile. Essi sono la capillarità del potere del Partito e dello Stato e non potevano rimanere altro tempo in una condizione fallimentare che è giunta persino a provocare tagli degli stipendi degli impiegati. Inoltre gli enti locali sono un motore della crescita cinesi. Non si occupano solo dell’amministrazione e delle infrastrutture del loro territorio, ma nel corso del tempo hanno creato milioni di società di investimento che sostengono lo sviluppo delle loro regioni. Quindi bisogna immaginare che il risanamento delle loro finanze contribuirà al rilancio dell’economia cinese. Ciò non dissipa la delusione delle aspettative che si prevedeva che contemplassero misure per la rivitalizzazione del mercato immobiliare a provvedimenti per il rilancio dei consumi, come aumenti per le pensioni minime e sussidi per l’acquisto di elettrodomestici. Le ragioni di questa scelta sono forse due: il primo, con il salvataggio degli enti locali pensa di stabilizzare l’economia e di raggiungere l’obiettivo di crescita annua del 5%; il secondo, Pechino guadagna tempo per capire come dovrà reagire alle conseguenze dei dazi che Donald Trump imporrà sulle esportazioni cinesi. Molto meno chiare sono le ragioni del ritardo di queste misure di rilancio. La mia impressione è che Pechino aveva tentato di frenare la bolla immobiliare con il varo di misure amministrative, ma queste non sono bastate per frenare la corsa dei prezzi e la voglia matta di continuare a costruire. Quindi quado i prezzi hanno cominciato a calare ha voluto essere sicura che l’euforia fosse finita prima di contraddire le misure precedenti. Inoltre è molto probabile che con una certa arroganza fossero convinti che l’economia si sarebbe risollevata da sola.
La guerra delle tariffe doganali sui prodotti cinesi, iniziata dagli Stati Uniti e a cui si è accodata anche l’Unione Europea, diventa sempre più dura. Come ha influito questa guerra commerciale scatenata dall’Occidente sullo sviluppo economico cinese e qual è il margine di manovra che ha Pechino? Resistere o rispettivamente rispondere a queste tariffe doganali?
I dazi americani hanno finora inciso poco sulle esportazioni cinesi. L’entrata di Donald Trump alla Casa Biana e l’imposizione di dazi del 60% sull’export di Pechino cambierebbe sicuramente la situazione. Il motivo di questa resilienza è dovuta al fatto che la Cina ha ampliato notevolmente le esportazioni nei paesi asiatici in forte sviluppo (dal Vietnam all’Indonesia, dalla Malesia all’India, ecc.). Questo fenomeno è stato concomitante con la delocalizzazione di molte attività industriali in questi Paesi a causa dell’aumento dei salari in Cina. Le attuali difficoltà economiche del gigante asiatico sono dovute a due fattori interamente interni: le restrizioni mantenute troppo a lungo per combattere il Covid, che hanno portato alla chiusure di molte piccole attività artigianali e commerciali e allo scoppio dell’enorme bolla immobiliare, che ha provocato il brusco arresto di un settore trainante dell’economia cinese e fallimento di molte società immobiliari: la crisi delle finanze degli enti locali, che si finanziavano con le aste dei terreni, e che oggi spesso non hanno nemmeno i soldi per pagare i loro dipendenti; e a una forte caduta della fiducia delle famiglie. Sorprende che di fronte ad avversità di queste dimensioni, la Cina ha continuato a crescere attorno al 4,7% quindi ben di poco sotto l’obiettivo del 5%. Ciò dimostra la solidità dell’economia cinese.
Un certo raffreddamento dell’economia cinese c’è sicuramente stato, anche se forse minore di quanto si dica in occidente. A questo proposito ha sicuramente giocato la crisi nell’edilizia, e mentre prima il viaggiatore era impressionato dall’attività edilizia, ora è quasi tutto fermo. Potrebbe però darsi (e di questo si parla molto poco in occidente) che anche lo sforzo titanico che Pechino sta facendo per trasformare il suo substrato industriale da un’economia fabbrica del mondo ma con merci a basso valore aggiunto verso un’economia basata sul sapere, la ricerca, l’intelligenza artificiale e la qualità dei prodotti (se possibile anche con minor tasso di inquinamento). Sei d’accordo con questa analisi?
Sono assolutamente d’accordo. E’ addirittura stupefacente a quale velocità sta avvenendo la riconversione della Cina verso le produzioni high tech. Questa svolta è voluta dal Governo che ha profuso enormi risorse nella ricerca di base e alla capacità delle industrie di trasformare i risultati in prodotti altamente competitivi e spesso migliori di quelli occidentali. Basti pensare alle automobili elettriche, alle batterie, ai pannelli solari, ecc. Questo fenomeno ha indotto gli Stati Uniti non solo a frenare con diversi mezzi le importazioni cinesi, ma a vietare l’export di alcune prodotti altamente tecnologici. Il ritardo più pesante di cui oggi soffre Pechino riguarda i semiconduttori di ultima generazione (i famosi chips) che sono importanti nello sviluppo dell’intelligenza artificiale (AI). I cinesi però stanno reagendo recuperando il terreno perduto e soprattutto adattando la loro strategia. Come ha scritto, il direttore dell’Accademia delle Scienze: “Gli americani continuano ad incrementare le capacità dell’AI, ma non sanno dove andare; noi invece cerchiamo di sviluppare le applicazioni dell’AI nel settore industriale e nei servizi. Il risultato è un maggiore contributo alla crescita dell’economia cinese”. I progressi della Cina nel campo delle nuove tecnologie stanno creando i peggiori mal di testa alle teste d’uovo di Washington.
L’economia americana, a me almeno sembra, sta andando meglio di quanto molte cassandre avevano previsto. Questo non si può sicuramente dire per l’economia europea. Anche la Cina sembrerebbe, da un punto di vista economico, metter attualmente meno in pericolo la predominanza statunitense. Sei anche tu della stessa opinione?
Assolutamente no. Gli Stati Uniti sono ormai terrorizzati dalla Cina. La guerra in Ucraina ha dimostrato che la Cina non è isolata e che la Comunità internazionale, di cui si vantano europei e americani, è ridotta ai Paesi NATO e ad alcune appendici asiatiche (come Giappone e Corea del Sud). I Brics si allargano e stanno studiando un sistema di pagamenti alternativa al dollaro e quindi non soggetto alle sanzioni occidentali. Ed il dollaro è il punto di forza degli americani: la caduta del ruolo mondiale del dollaro renderebbe impossibili il finanziamento del cronico deficit commerciale americano e pure del debito pubblico. La sua eclissi farebbe crollare Wall Street e ridurre il potere d’acquisto degli americani del 30%. Quindi le tensioni tra Cina e Stati Uniti riguardano la minaccia che Pechino pone alla supremazia mondiale degli Stati Uniti. Quindi per Washington è una battaglia per la vita. Tutto ciò induce a ritenere che se gli Stati Uniti non saranno disposti a trattare con la Cina sugli assetti futuri del pianeta lo scontro bellico appare ineluttabile. Insomma gli Stati Uniti devono accettare un nuovo mondo multipolare, ma questa prospettiva non è nelle corde di Washington abituata a comandare il mondo. Quindi la trappola di Tucidide rischia di venire di nuovo confermata.
Durante un mio ultimo viaggio, ho avuto l’impressione che mentre nel passato Pechino investisse soprattutto sulle zone costiere (Tianjin, Shanghai, Shenzhen, eccetera) ora si stiano concentrando soprattutto su investimenti enormi nelle parti centrali ed in parte montagnose della Cina: penso per esempio alla zona tra Chongqing e Chengdu. Mi è parso di capire che in questa scelta giochino anche dei fattori di strategia militare, a proposito di cosa sarebbe più facilmente difendibile in un eventuale futuro conflitto con gli Stati Uniti. Hai anche tu la stessa impressione?
Certamente sia gli Stati Uniti sia la Cina si stanno preparando ad uno scontro militare. Pechino sta investendo massicciamente sia nella marina, che oggi dispone di un numero maggiore di navi di quella americana, sta ampliando il proprio sistema nucleare e sta attrezzandosi per un conflitto che ovviamente avverrebbe anche nello spazio. Uno studio del Pentagono ha infatti messo in risalto che l’esito di un confronto militare con la Cina sarebbe incerto. A mio parere sarebbe certo che non ci sarebbero più né Stati Uniti né Cina. Un’osservazione su Taiwan. I cinesi di Taiwan hanno capito che in una guerra tra le due superpotenze sarebbero sicuramente coloro che uscirebbero con le ossa rotte. Quindi è improbabile che vogliano correre il rischio di dichiarare l’indipendenza dell’isola che corrisponderebbe ad una guerra con la Cina. Quindi gli americani dovrebbero inventarsi un altro casus belli, ma come tutti sanno sono maestri in questi esercizi. Spero comunque che ritorni una forma di ragionevolezza a Washington in modo da evitare la terza guerra mondiale che purtroppo è già cominciata.