Non che non si possa essere critici verso Pechino, anzi è giusto esserlo, ma attenendosi ai fatti. Nel suo contributo “Cavalli di Troia del comunismo cinese”, pubblicato dapprima sulla Tribune de Genève e poi nella Regione (30 luglio 2024) parla dell’Accordo di libero scambio della Svizzera “con il Partito Comunista cinese”: anche Paolo dovrebbe sapere che questi accordi si fanno tra stati. In seguito parla di come “il dittatore Xi Jinping ha accelerato il genocidio delle minoranze etniche e religiose in Cina”. Di queste minoranze in Cina ce ne sono, tralasciando quelle minuscole, almeno cinquantasei. Diverse di queste sono di fede musulmana, senza che ci siano stati problemi, salvo con quella degli uiguri nello Xinjiang. Nessuno nega che ci siano stati lì gravi violazioni dei diritti umani. Ma l’inchiesta ufficiale dell’ONU, sotto l’egida della Presidente della Commissione per i diritti umani, l’ex presidente cilena Bachelet, ha concluso che non c’era stato un genocidio (questa conclusione le è poi probabilmente costata la rielezione). E sì che la Bachelet era stata p. es. particolarmente dura per quanto riguarda la situazione in Venezuela. Ciò che di solito si dimentica e che anche Paolo non dice mai è che, in seguito alla vicinanza con l’Afghanistan e l’ISIS, ben installato nelle vicine vallate di alcuni “Sovietistans”, una frangia importante degli uiguri è stata radicalizzata e molti di loro sono finiti nelle fila dell’ISIS. Sono quasi trecento i morti provocati in Cina in vari attentati perpetrati da questi terroristi, ciò che ha fatto scattare la repressione governativa. I migliori studiosi occidentali (possiamo fornire a Paolo la letteratura in proposito) della situazione dello Xinjiang, arrivano, per quanto riguarda i più critici, al massimo a parlare di un “possibile genocidio culturale”, ma assolutamente non in senso fisico. Bernasconi sembra concentrarsi sulle fake news demagogiche propagate dall’IPAC (Inter-Parliamentary Alliance on China), un’organizzazione diretta da vari senatori americani di estrema destra (purtroppo anche alcuni parlamentari verdi e socialisti svizzeri sono caduti nel tranello…) e il cui grande ideologo è il Dr. A. Zenz, teologo fondamentalista, che afferma senza vergogna “di essere stato incaricato da Dio di combattere il comunismo cinese”. Altri punti dell’“ira funesta dantesca” di Paolo Bernasconi potrebbero essere citati. Ci limitiamo ad uno: egli sostiene che per “evitare procedure penali per complicità in genocidio” numerose aziende occidentali si sono già ritirate dalla Cina. È vero che questo è avvenuto e sta avvenendo: ma per tutt’altre ragioni! Una recente legge cinese prevede difatti che il salario minimo deve ogni anno crescere in modo superiore all’aumento della produttività: così facendo i salariati vengono continuamente avvantaggiati rispetto al capitale. Nei settori che contano, i salari minimi cinesi oggi sono superiori a quelli che si pagano in diversi paesi dell’EU. È perciò che queste ditte occidentali, che sempre cercano la mano d’opera più a buon mercato, stanno trasferendo i loro investimenti verso le Filippine, l’Indonesia o il Vietnam, dove le paghe sono tuttora molto più basse. I patemi d’animo con tutto ciò non c’entrano proprio per niente. Con buona pace di Paolo.
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L’ira funesta di Paolo Bernasconi
Paolo Bernasconi, ex procuratore d’assalto, si è sicuramente guadagnato molti meriti, anche importanti. Questo vale anche per la maggior parte delle sue battaglie per i diritti umani. Risulta perciò difficile capire la sua polemica, un po’ sguaiata e senza freni, a proposito della Cina.