SÌ alla Legge federale sugli obiettivi in materia di protezione del clima, l’innovazione e il rafforzamento della sicurezza energetica

Potrebbe esserci una piccola contropartita positiva all’elezione di Albert Rösti in Consiglio federale. Per la votazione del 18 giugno sulla legge in materia di protezione del clima, l’UDC si trova un nemico in casa, deve cioè combattere la proposta che viene difesa, a nome del governo, dal suo ministro.

In ogni caso è importante che la legge sia approvata, perché si tratta di una scelta cruciale dal profilo ambientale, e anche perché politicamente è determinante non concedere una vittoria alla destra, che ha lanciato il referendum.

I dati sugli effetti nefasti del cambiamento climatico sono ormai chiari a tutti, salvo ai soliti terrapiattisti che negano l’evidenza. 

In Svizzera dall’inizio delle misurazioni, più di cento anni fa, la temperatura media è aumentata di 2,5 gradi. I ghiacciai rispetto al 1850 hanno perso il 60% del loro volume. L’isoterma di zero gradi dal 1961 a oggi si è alzata di 300-400 metri. Sotto gli 800 metri i giorni di neve si sono dimezzati rispetto al 1970.

La legge in votazione in giugno è un controprogetto indiretto all’iniziativa popolare “Per un clima sano (iniziativa per i ghiacciai)”, lanciata con successo nel 2019. Si stabilisce che la Svizzera deve diventare neutrale dal punto di vista climatico entro il 2050, rispettando l’Accordo sul clima di Parigi. A differenza dell’iniziativa, la legge non prevede un divieto assoluto dei vettori energetici fossili che, tra l’altro, provengono interamente dall’estero. “Dato che non è possibile ridurre a zero l’emissione di gas serra in tutti i settori, ad esempio negli impianti di incenerimento dei rifiuti o nell’agricoltura, le emissioni rimanenti dovranno essere compensate”, spiega il Consiglio federale; vale a dire che si potranno finanziare opere e programmi ambientali in paesi terzi.

Rispetto alla legge sul CO2 respinta due anni fa in votazione, questa legge non propone divieti ma sussidi. La Confederazione metterà a disposizione fino a 200 milioni di franchi l’anno, per i prossimi dieci anni, per favorire il passaggio a impianti di riscaldamento rispettosi del clima, per il teleriscaldamento e per migliorare l’isolamento degli edifici. Inoltre verrà promossa l’innovazione delle tecnologie di protezione del clima: 200 milioni di franchi l’anno per sei anni. Per gli impianti industriali e per l’agricoltura, che non possono evitare le emissioni di gas serra, si prevede di catturare il CO2 dalle ciminiere e dall’atmosfera per conservarlo nel sottosuolo.

La Confederazione ha deciso di investire fino a 3,2 miliardi di franchi nell’arco di dieci anni. Una volta tanto sono soldi che sgocciolano verso il basso, verso il Paese, a favore dell’economia e dei cittadini, e non evaporano verso l’alto, come i miliardi promessi agli gnomi della Paradeplatz.

L’UDC è l’unica contraria alla legge, ma sembra avere armi spuntate per contrastarla. La campagna degli oppositori si gioca tutta sul fatto che sarà necessario sostituire il petrolio e il gas con l’elettricità e quindi si metterebbe a rischio la sicurezza energetica.

La legge federale sul clima è una tappa determinante per allineare la Svizzera alle decisioni internazionali a protezione del clima. 
Sarà sufficiente?

La giornalista tedesca Ulrike Herrmann, ex democristiana, non è ottimista: nel suo recente Das Ende des Kapitalismus sostiene, come altri, che per superare la crisi climatica bisogna uscire dal capitalismo. Bisogna incentivare l’economia circolare e ridurre in modo drastico i consumi e la produzione. L’autrice propone di imitare l’economia di guerra introdotta in Gran Bretagna dopo il secondo conflitto mondiale: “Se riduciamo del 50% la nostra economia, saremo ancora ricchi come nel 1978”. Decrescita, forse nemmeno troppo felice. 

Senza applicare soluzioni tanto drastiche, è indubbio che sia necessario pensare a un risparmio complessivo di energia. Il capogruppo socialista alle Camere Roger Nordmann ha proposto al Consiglio federale di introdurre l’obiettivo di risparmiare il 5% del consumo di elettricità: “Se tutti risparmiano un poco, crescono le possibilità di avere energia sufficiente per tutti.”

Per evitare carenze di elettricità durante i mesi invernali, la Commissione dell’energia del Consiglio nazionale ha preso in considerazione la possibilità di creare impianti di cogenerazione forza-calore, che producono energia elettrica partendo da combustibili fossili. Non il massimo della coerenza alla vigilia del voto sulla nuova legge, ma un passo che può essere necessario per evitare eventuali blackout invernali. 

Intanto, nel 2022 le maggiori compagnie petrolifere hanno registrato profitti da primato. Shell, Chevron, ExxonMobil, Total Energies e BP hanno totalizzato benefici per 151 miliardi di dollari. In Francia si discute sulla tassazione di questi superprofitti. La Gran Bretagna ha introdotto nel maggio dell’anno scorso una tassa sui benefici energetici eccezionali. L’Unione europea ha deciso lo scorso settembre di applicare “un contributo temporaneo di solidarietà”.

È positivo che la legge sul clima in votazione il 18 giugno preveda cospicui investimenti pubblici federali, 3,2 miliardi di franchi come detto, ma sarebbe opportuno anche valutare possibili contributi a favore della politica ambientale da parte delle società che hanno registrato profitti stratosferici grazie alla pandemia e alla guerra in Ucraina. 

Altra possibilità poteva essere quella di aumentare la tassazione delle multinazionali dal 15% (su cui si vota pure il 18 giugno) al 20 o al 25%: ma ormai è tardi…