La ricetta: una politica molto chiara basata su rivendicazioni essenziali, come salario mimino, riduzione dell’orario di lavoro, aumento delle pensioni, investimenti nel servizio pubblico, trasporti gratuiti, ecc. ecc. Ben lontani quindi dalle proposte spesso fumose di partiti “socialisti” diventati nel frattempo tipicamente radical-chic.
Un altro esempio ci arriva ora dall’Austria, un paese non propriamente conosciuto (salvo 100 anni fa) per le sue tendenze sovietiche. Già da un paio d’anni una delle principali città, Graz, ha una sindaca comunista. Anche qui la ricetta è stata molto simile a quella dei compagni belgi. Con un’aggiunta importante: tutti gli eletti della lista del PC devono versare la quasi totalità di quanto ricevono per la loro attività politica in un fondo, che viene usato per finanziare progetti sociali o donazioni a persone bisognose.
L’ultima sorpresa arriva ora dalla regione di Salisburgo, dove alle elezioni regionali di fine aprile, il partito comunista ha sfiorato il 12%, mentre nella tornata elettorale precedente era stato al di sotto dell’1%. Anche qui si è seguito il modello Graz: massimo impegno sociale intorno a problemi concreti, messa a disposizione dei cittadini per risolvere i problemi quotidiani, lancio di un’iniziativa per la costruzione di alloggi a pigione moderata oltre alla proposta di introdurre a livello nazionale la settimana lavorativa di 32 ore. Un linguaggio quindi immediato e concreto, ben lontano da quello astratto e consunto, che purtroppo non si ritrova solo nella vecchia socialdemocrazia.