Nel momento in cui scriviamo queste righe i risultati delle elezioni tedesche non sono ancora definitivi. La SPD distanzia la CDU/CSU di quasi 2 punti percentuali: il complicato sistema elettorale tedesco, una combinazione di proporzionale a livello nazionale e seggi assegnati al maggioritario, non garantisce però che la SPD avrà un’equivalente supremazia di seggi in Parlamento. Quello che è sicuro è che la formazione del governo sarà un rompicapo, da cui però poco di buono ci si può aspettare da una vera prospettiva di sinistra.
Che la CDU/CSU avrebbe preso una batosta era chiaro già dopo le ultime elezioni regionali. Oltretutto veniva a mancare Mutti Merkel, che è sempre stata una macchina elettorale non da poco.
Dopo una serie impressionanti di sconfitte, la chiara avanzata della SPD non era invece qualcosa che ci si potesse aspettare anche solo un anno fa. A parte la voglia di punire la CDU/CSU, il merito è probabilmente del suo candidato cancelliere Olaf Scholz, una riedizione sbiadita del non dimenticato cancelliere Schröder. Quest’ultimo era stato l’artefice principale delle «riforme» neoliberali che a inizio anni 2000 indebolirono il welfare state tedesco (vedi Hartz IV): bloccando come capo della socialdemocrazia la risposta sindacale, Schröder aveva allora reso un enorme favore alla borghesia, aumentando notevolmente lo sfruttamento dei salariati.
Ed è probabile che anche questa volta una parte degli elettori borghesi si siano detti che un socialdemocratico di destra come Scholz può talvolta essere più utile di una cancelliera cristiano-democratica, soprattutto se figlia di un pastore protestante come Mutti Merkel. Perché se Scholz diventerà veramente cancelliere, la SPD sarà in una situazione «alla Svizzera»: una presidenza del partito spostata abbastanza a sinistra con il rappresentante dominante nel governo quale esponente della destra socialdemocratica più spiccata. Come da noi per il PS: due co-presidenti di sinistra con due consiglieri federali socialdemocratici di destra.
I Verdi hanno ottenuto un buon successo, ma non hanno sfondato, come sembrava possibile sino a qualche mese fa. Non è escluso che la scelta della loro candidata cancelliere sia stata poco felice: anche nei commenti post-elettorali dava l’impressione di un freddo robot che ripete frasi imparate a memoria. Alcune analisi preliminari darebbero però una deputazione verde (ma anche quella della SPD) formata soprattutto da donne, giovani e abbastanza spostata a sinistra. Potrebbe essere la novità più importante, anche perché invece negli ultimi anni il partito verde tedesco si è spostato sempre di più verso il centro, quando non addirittura, come in politica internazionale, sulla destra.
Disastroso il risultato per la Linke: anche se rimasta addirittura leggermente al di sotto dello sbarramento del 5%, potrà entrare lo stesso nel Parlamento grazie ai tre mandati acquisiti nelle circoscrizioni al maggioritario. Ma al di là di questo aspetto tecnico, impressionante è che il suo elettorato si è dimezzato: da grosso modo il 10% quattro anni fa al 5%. Su questo disastro hanno pesato sicuramente i dissidi interni, non da ultimo le polemiche scatenate da Oskar Lafontaine e Sahra Wagenknecht. Il disastro elettorale è stato però provocato soprattutto dalla perdita di consenso nei Ländern dell’ex-DDR, dove fino a poco tempo fa la Linke si aggirava sui 20-25%. A pesare è stato soprattutto il fatto che in quasi tutti questi Ländern la Linke è entrata in coalizioni di governo regionale con la SPD e talora i Verdi, che all’Est sono meno di sinistra che all’Ovest. Così facendo la Linke ha perso buona parte del voto di protesta, che è andato a finire nelle astensioni o ai fascio-legaioli di AfD. E questo è un insegnamento importante anche per noi: entrare in coalizioni con forze politiche non dichiaratamente di sinistra, non può che far perdere la bussola alla sinistra radicale, che perde poi molti consensi diventando «una forza politica come le altre» e quindi vittima dell’antipolitica.
Ma il problema di fondo in Germania è l’assenza di un vero e profondo conflitto sociale, unica garanzia per una rinascita di una sinistra radicale. E sì che oggettivamente le condizioni ci sarebbero: Merkel, al di là di qualche atteggiamento umanitario, ha condotto una politica neoliberale molto dura, mantenendo i salari molto bassi e dando tutto il potere alle cerchie dominanti dell’economia. Basta pensare che la promessa elettorale di Scholz di introdurre un salario orario minimo di 12 Euro è stata tacciata di propaganda comunista. Ma anche nel settore dei lavori pubblici, dell’istruzione ed addirittura dell’ecologia l’eredità della Merkel è tutt’altro che positiva. Lo spazio quindi per una sinistra radicale ci sarebbe, ma il conflitto sociale può rinascere solo se i sindacati la smetteranno di essere un enorme macchina burocratica al servizio di una pace sociale che avvantaggia solo il grande capitale.
Qualche lumicino di speranza c’è: si veda il recente, durissimo sciopero dei macchinisti delle ferrovie, conclusosi in modo vittorioso. O la generale mobilizzazione con scioperi sempre più frequenti del personale ospedaliero. O ancora nella domenica elettorale la vittoria a Berlino dell’iniziativa popolare per espropriare i magnati dell’immobiliare. Non è quindi escluso che, anche se non immediatamente, Scholz possa trovare pane per i suoi denti.