Anche i più accaniti antieuropeisti ammettono ormai che l’esclusione della Svizzera dai programmi di ricerca europei diventa sempre di più un grosso problema per il nostro paese, anche perché non avendo materie prime, la ricerca per la Svizzera è fondamentale.

Dopo che il Consiglio Federale, in modo molto poco diplomatico, aveva chiuso la porta alle trattative sull’accordo quadro (che andava certo rifiutato, ma avendo almeno un piano B) il Consiglio Federale si è trovato in braghe di tela, in quanto non aveva preparato assolutamente nessun’alternativa.

Tra le conseguenze per il nostro paese, probabilmente la peggiore è stata l’esclusione dai programmi europei di ricerca, che sono qualitativamente e quantitativamente molto importanti, paragonabili almeno a quelli del governo degli Stati Uniti. Oltretutto, senza questa possibilità, diventa sempre più difficile poter attrarre in Svizzera ricercatori esteri di punta. 

Nella nostra stessa posizione, o forse peggio, si è trovata la Gran Bretagna dopo il Brexit. Ma Londra, dopo aver inizialmente addirittura minacciato di intentare in proposito una serie di processi all’UE, si è data da fare e, nonostante che il Brexit sia stato molto più violento che non il rifiuto dell’accordo quadro da parte della Svizzera, trovando una serie di accomodamenti pratici è riuscita ora a far riammettere la Gran Bretagna ai programmi di ricerca dell’UE!

Certo, Londra ha messo sul piatto delle trattative l’importante apporto scientifico che può derivare all’UE da Oxford e Cambridge. Noi però con i due politecnici federali abbiamo due istituti quasi equivalenti.

Ma a Berna, contrariamente che a Londra, si continua a dormire alla grande. Nei due dipartimenti responsabili (Parmelin per la ricerca, Cassis per i contatti internazionali) non si incontra neanche l’ombra di un’idea, ma solo visi rabbuiati di burocrati che non sanno che pesci pigliare. Intanto il mondo svizzero della ricerca si dispera, perde colpi, ma anche ogni fiducia nel mondo politico.