Ai tempi del PSA, almeno fino al 1983, ritenevamo non utile essere rappresentati in Consiglio di Stato. Di fatto in un sistema istituzionale come il nostro quella posizione non rispondeva al modo di far politica svizzero e ticinese. Per cui anche per la sinistra e i socialisti essere presenti in governo anche se in minoranza non solo è utile ma necessario. Ha permesso e permette di battersi per ottenere riforme condizionare le scelte sui problemi che interessano la gente. In tutti i 100 anni di presenza socialista in governo lo provano numerose riforme portate avanti proprio grazie all’operato dei suoi rappresentanti.
Come ad esempio quanto fatto a suo tempo con Canevascini per lo sviluppo dell’agricoltura o per la difesa della scuola laica o con Martinelli per il potenziamento della socialità e per una fiscalità equa e sociale, con Ghisletta nell’ambito dell’agricoltura e con Bertoli per il miglioramento e il potenziamento della scuola. Quindi la partecipazione all’esecutivo va considerata positivamente anche se non sempre si è potuto ottenere quello che era necessario per il paese e se non sono mancate le sconfitte e le delusioni.
Per il Partito il bilancio nonostante tutto può essere valutato positivamente e ha permesso di profilarsi come forza politica importante. Basti ricordare negli anni trenta e quaranta l’azione contro il fascismo e le sue propaggini locali, durante i primi anni dell’intesa della sinistra la lotta contro il clericalismo, o ancora le battaglie per un Ticino aperto e solidale. Negli anni ottanta l’istituzione di molti servizi sociali con il Dipartimento opere sociali e l’opposizione agli sgravi fiscali, alla creazione e al potenziamento dell’Azienda elettrica ticinese. Certo ci sono stati anche aspetti discutibili negativi come l’eccessivo adeguamento del Partito alla politica governativa, in particolare negli ultimi anni dell’intesa di sinistra o ancora negli anni della presenza in governo di Pesenti e Bervini con la conseguente debolezza dell’azione alternativa del Partito.