Riprendiamo il titolo di un articolo apparso nel numero di febbraio del Monde Diplomatique, nel quale si spiega dettagliatamente come nel quadro di un’economia rallentata, l’enorme investimento di quasi 800 miliardi previsto per il riarmo europeo, non potrà che essere finanziato con feroci tagli nel welfare. Già alcuni primi ministri, soprattutto nei paesi baltici e scandinavi, hanno detto che bisognerà ridimensionare il servizio pubblico. Ed il neoeletto segretario della NATO, l’ex-sempiterno primo ministro olandese Rutte, che è riuscito a rovinare uno dei migliori sistemi sociali europei, ha affermato che bisognerà “fare molti sacrifici”.
Tutto ciò non potrà non avere gravi conseguenze politiche. La recente tornata elettorale tedesca è stata l’ultima di una lunga serie che hanno avuto tutte un denominatore comune: le classi sociali più sfavorite, vittime di una crisi sociale sempre più severa, hanno votato massicciamente per l’estrema destra, a partire proprio dall’Olanda di Rutte, con l’affermazione di Wilders fino alla vittoria di Trump, determinata come ha spiegato Bernie Sanders, dal fatto che i Democratici hanno voltato le spalle alla classe operaia.
Nucleo forte di questa follia bellicista è il riarmo tedesco (la von der Leyen era stata in precedenza ministra della difesa in Germania), a favore del quale il nuovo cancelliere Merz ha addirittura buttato alle ortiche il sacrosanto dogma teutonico del freno all’indebitamento, che era sempre stato usato per bloccare le spese sociali. Merz l’ha fatto con un mini-colpo di Stato, facendo cioè votare la riforma costituzionale in tutta fretta dal vecchio parlamento, in quanto nel nuovo, uscito dalle recenti elezioni, non avrà più la necessaria maggioranza dei due terzi.
Come si cerca di giustificare questa follia bellicista? D’una parte con la telenovela dell’incombente arrivo dei carri armati di Putin, anche se la Russia è uno stato al limite del fallimento, con un PIL simile a quello della Spagna ed un esercito convenzionale che equivale più o meno a quello della Turchia. Poi con le mosse di Trump. Quest’ultimo, che vuole abbassare le tasse ai ricchi, ha deciso di porre fine al sostegno finanziario all’Ucraina, poco popolare negli USA e che è costato a Washington più della metà della spesa globale sostenuta per la guerra ventennale in Afghanistan.
The Donald poi, togliendo l’appoggio militare incondizionato, vuole spingere l’Europa a moltiplicare le spese militari, perché sa che almeno l’80% finirà nelle casse dei trust d’armamento statunitensi. E la soluzione che si prospetta in Ucraina (come abbiamo sempre detto, avrebbe potuto essere trovata senza scatenare questa guerra demenziale) va bene agli oligarchi statunitensi.
Alla Russia andrebbero la Crimea ed una parte del Donbass, mentre il resto dell’Ucraina è già ora quasi totalmente nelle mani degli oligarchi statunitensi, BlackRock in primis. Mancano solo le terre rare… E che l’Ucraina non entri nella NATO, a Trump non fa né caldo né freddo.
Come abbiamo sostenuto sin dall’inizio, la guerra in Ucraina passerà alla storia anche come scontro interimperialistico portato avanti sulla pelle del popolo ucraino. Questa bufera bellicista spira anche a Berna, dove all’esercito si sta concedendo di tutto e di più. Questo sia da parte di chi vuole accodarsi il prima possibile alla NATO, che da parte della destra UDC, che vuole iscrivere nella costituzione una neutralità eterna, ma soprattutto armata sino ai denti.