Negli ultimi mesi, con un’accelerazione devastante, si assiste a quella che sembra essere la fine del ciclo storico in cui le democrazie liberali hanno governato i paesi occidentali, proponendosi come simbolo e riferimento consolidato delle libertà economiche e individuali.
Negli ultimi decenni, di fronte alla crescita e agli effetti certificati e purtroppo consolidati della crisi climatica, di fronte ad una crisi sociale devastante che ha reso fragile, impoverito e sfilacciato la società, di fronte ad una crisi economica che ha divaricato in modo crescente le strade dell’economia produttiva da quelle dell’economia finanziaria, imponendo ripetuti massicci interventi pubblici a sostegno delle stesse, nelle democrazie liberali la destra ha continuato a raccontare che la libertà economica avrebbe risolto tutto, autoregolamentando l’economia e di conseguenza la società, migliorando la vita delle persone e dell’ambiente con maggiore efficienza di quanto avrebbe potuto fare qualsiasi Stato sociale. Teorie da cui è derivato il continuo e sistematico attacco ai fondamenti dello stato sociale e ai meccanismi di ridistribuzione della ricchezza, un attacco che continua a imperversare un po’ ovunque con crescente intensità.
In molti, purtroppo, ci hanno creduto e in tanti continuano a crederci, ad esempio in Svizzera. Certamente da una parte tra coloro che da questo stato di cose hanno tratto un tornaconto diretto ma anche, paradossalmente, da quella classe media che si erode sempre di più e che è stata e continua ad essere proprio la componente sociale più martoriata e colpita dai cambiamenti in atto.
Ma, dicevamo in esordio, molto è cambiato negli ultimi mesi. In particolare, è cambiato il “racconto” dei padroni dell’economia e dei loro rappresentanti politici, per il momento soprattutto oltre oceano. Basti pensare ad una affermazione fatta già due anni fa da Thiel, l’ideologo dell’oligarchia capitalista che sta, con Trump e i suoi accoliti, cercando di cambiare e dominare il mondo, e cioè: “Democrazia e libertà economica non sono più conciliabili”.
Quello che stupisce è che quasi nessuno si faccia avanti, nel fronte borghese istituzionale, nel contestare con forza e determinazione queste teorie e affermazioni, malgrado contraddicano e neghino tutto quanto sostenuto con forza dalla destra politica ed economica negli ultimi quarant’anni almeno! Anzi: in un goffo tentativo di captatio benevolentiae, la presidente della Confederazione Karin Keller-Sutter ha addirittura qualificato di “molto affine ai valori svizzeri” il discorso del vicepresidente statunitense J.D. Vance tenuto davanti ai leader europei (in occasione della Conferenza sulla sicurezza di Monaco). Un discorso di un rappresentante di un governo che, ricordiamolo, sta gettando alle ortiche tutto quello che rimaneva di Stato di diritto, libertà individuali e multilateralismo, per instaurare un’oligarchia tech e trasformare gli Stati Uniti (e il mondo) in un laboratorio di darwinismo sociale. Ma ritorniamo al nesso tra mondo economico e politico. Per alcuni tra noi non è affatto sorprendente tutto ciò visto che da decenni sosteniamo che l’economia, in particolare la sua versione capitalista, stava deteriorando in modo dirompente e difficilmente rimediabile sia il lavoro che i territori.
Ed è importante parlare di lavoro e non tanto di economia perché è il lavoro ad essere il punto di incontro tra la storia naturale e la storia umana. In realtà la storia naturale del nostro pianeta è anche la storia del lavoro delle donne e degli uomini e viceversa. Quando gli uomini e le donne hanno cambiato la natura, la natura ha cambiato sé stessa modificando di conseguenza i percorsi di vita umani.
Dall’industrializzazione in avanti, ogni volta che il capitalismo è stato in difficoltà è stato evidente e chiaro che le “vittime designate”, per tagliare i costi e far crescere i profitti, sono stati, da un lato, le lavoratrici e i lavoratori, dall’altro l’ambiente. E non stiamo parlando solo dell’economia “produttiva”, ma anche dell’economia finanziaria che sull’esternalizzazione dei costi sociali e ambientali ha poggiato e poggia le sue tentacolari fondamenta.
Certo, siamo coscienti che in passato i socialisti e i marxisti in generale non hanno riservato sufficiente attenzione alla natura e all’ecologia, ma è anche vero che, sull’altro fronte, gli ecologisti non hanno dato e riconosciuto all’economia umana e al lavoro il giusto valore politico, sottovalutando le trasformazioni della natura causate dallo sfruttamento delle persone, dalla continua corsa all’accumulazione della ricchezza, dalle conseguenze spietate della concorrenza, per fare solo alcuni esempi.
Quanto oggi sta avvenendo a livello globale, quanto stanno cercando di attuare Trump e compagnia con le loro politiche antisociali e distruttrici dell’ambiente ci obbliga a lavorare insieme e ad attivare, socialisti ed ecologisti, non solo una resistenza attiva a tutto ciò, ma anche e soprattutto una forte propositività operativa per una società diversa.
In realtà, avremmo dovuto farlo anche in passato reagendo con forza quando le diverse crisi mondiali del capitalismo, i cambiamenti di indirizzo, le fragilità e gli errori dello stesso venivano fatti pagare alle casse pubbliche e alla natura, quando la massimizzazione del profitto ad ogni costo generava effetti devastanti sul lavoro delle donne e degli uomini e sui territori.
Non è stato così!
Ma nel momento in cui questo processo distruttivo sta rafforzandosi con decisione, di fronte al negazionismo ambientale e sociale che sembra diffondersi con successo un po’ ovunque, aspettare non è più possibile e diventa più che mai necessario essere attivi e propositivi.
La povertà e la violenza crescono, la dignità e i diritti del lavoro stanno diventando un’utopia del passato, i territori vengono distrutti, rapinati e avvelenati proprio quando il “nuovo” capitalismo rampante propone di cancellare semplicemente i diritti del lavoro, delle persone, della natura e dell’ambiente.
Di tutto questo, in piccolo e in grande e in forme diverse, intendiamo occuparci e lavorare sui Quaderni alternativi!