“Fissare un tetto massimo del numero dei dipendenti dell’amministrazione cantonale, impedire che per raggirare questo tetto massimo si riversino compiti ai comuni e altri enti; il numero dei dipendenti non dovrà superare l’1.3% della popolazione residente in Ticino. Con questo parametro si prevede una riduzione del 10% del personale attuale (circa 580 unità)”.
Quello che precede è il testo dell’iniziativa popolare lanciata lo scorso mese di ottobre dall’UDC e da alcuni deputati dalla Lega, del PLRT, del Centro, dai responsabili dell’AITI e della Camera di Commercio.
Secondo Piero Marchesi, presidente UDC e primo firmatario, il numero dei dipendenti dello Stato, escluso il personale insegnante e quello dell’Organizzazione sociopsichiatrica cantonale che non sarebbero toccati dall’iniziativa, non deve superare l’1.3% della popolazione residente. Nel 2023 in Ticino c’erano 357’720 abitanti e 5’189 impiegati cantonali. L’iniziativa propone pertanto la riduzione del 10%, ossia di 580 funzionari. Meno dipendenti significano meno burocrazia e più efficienza, ha dichiarato durante la conferenza stampa la vicepresidente della Camera di commercio, Cristina Maderni.
La proposta trova origine da uno studio dell’Idheap (un istituto di ispirazione liberista) secondo il quale il Ticino spenderebbe il 33% in più rispetto alla media intercantonale.
Uno studio lacunoso
Una prima osservazione a questa iniziativa riguarda le lacune dello studio dell’Idheap. Infatti:
- per fare i confronti con i costi degli altri cantoni ha per esempio rivalutato gli stipendi ticinesi, inferiori del 13% rispetto alla media. Il costo dell’amministrazione ticinese non è quindi quello reale, ma è stato sopravvalutato;
- tiene conto solo della popolazione residente e ignora gli 80’000 frontalieri che ogni giorno passano la frontiera per ragioni di lavoro e di cui l’amministrazione si deveoccupare (tasse, permessi, controllo condizioni di lavoro…);
- non considera che il Ticino è un cantone di frontiera e, visto la sua situazione geografica, non può beneficiare delle sinergie con gli altri cantoni (ad esempio per le carceri, la polizia, la formazione, i servizi sociali e sanitari);
- non tiene conto della minore importanza delle amministrazioni comunali in Ticino, rispetto alla media svizzera;
- trascura le differenze sociali che necessitano in Ticino di maggiori interventi dell’amministrazione a favore delle famiglie più sfavorite.
L’iniziativa popolare, come ha rilevato l’Associazione per la difesa del servizio pubblico, è quindi fondata su dati molto fragili. Inoltre, i fautori dimenticano che la pubblica amministrazione deve rispondere ai diritti, alle attese e ai bisogni dei cittadini e delle aziende. Una richiesta di invalidità, una prestazione contro la disoccupazione, una domanda di costruzione e un contributo per il promuovimento economico non possono rimanere inevasi senza provocare disagi, anche rilevanti, al cittadino-utente.
Non si tratta di una misura tendente a razionalizzare la pubblica amministrazione, bensì di un ulteriore attacco alla funzione pubblica e al servizio pubblico. Invece di proporre privatizzazioni, poco popolari, i promotori stanno sperimentando altre strategie per ottenere gli stessi risultati: meno Stato-più profitti.
Proposte già fallite quarant’anni fa
Nel 1980, come scrissi in un libro qualche anno fa1, il Governo ridusse per la prima volta gli stipendi del personale e gli effettivi della funzione pubblica. Tutti i settori sono stati colpiti, indipendentemente dai bisogni, anche quelli sovraccarichi, come la sanità, i servizi sociali, i tribunali. Con quella decisione il Governo, oltre a creare gravi problemi al funzionamento di molti servizi, trasmetteva un messaggio negativo verso il servizio pubblico, poiché lasciava credere che ci fossero diffuse sacche di inefficienza. La funzione pubblica, osservavo in quell’occasione, come qualsiasi grande azienda, necessitava sicuramente di riforme, ma anche in quel periodo aveva alti livelli di efficienza. Il Governo non intendeva migliorare la qualità del servizio pubblico, bensì creare un clima di insicurezza tra i salariati e impedire alla funzione pubblica di svolgere correttamente i propri compiti, per poi poterli più facilmente privatizzare. Né allora, né dopo vennero infatti formulate proposte atte a migliorare il pubblico impiego, ma sempre e soltanto intese al suo smantellamento.
Questa politica ha avuto gravi ripercussioni. Ecco qualche esempio. Gli uffici esecuzione e fallimenti eseguono funzioni complesse e necessitano di personale specializzato: negli stessi erano tuttavia attivi molti precari. Il Consiglio di Stato, interpellato, ammise che tale situazione aveva effetti negativi, ma che non poteva fare nulla.
La stessa cosa successe negli uffici di tassazione. Solo dopo vigorose proteste sono stati aumentati gli effettivi per tentare di reintrodurre maggior equità nell’accertamento fiscale.
La diminuzione degli effettivi della polizia stradale ha ridotto i controlli di velocità e di alcolemia e ha provocato un aumento del numero delle infrazioni e degli incidenti.
Ci furono gravi ritardi anche in altri campi, come nel settore delle borse di studio o in quello riguardante le rendite di invalidità, creando non pochi disagi agli studenti e alle persone in attesa di una rendita.
I tagli lineari, come quelli proposti dall’iniziativa dell’UDC, non possono dare risultati positivi, poiché non tengono conto delle singole particolarità, bisogni che aumentano in determinati settori, bisogni che mutano, popolazione di riferimento che aumenta o che diminuisce.
L’amministrazione cantonale: complessa e preziosa
Una questione generalmente ignorata o sottovalutata è quella del clima di lavoro. In un’organizzazione verticistica, come quella dell’amministrazione cantonale, la qualità dei capi, sin dai direttori dei dipartimenti (i Consiglieri di Stato) è determinante per il clima di lavoro delle singole unità. Non è un mistero per nessuno che in questo momento molti funzionari vivono situazioni di disagio. Mi capita di raccogliere testimonianze di questo tipo: “Non ne posso più. Aspetto con impazienza la pensione”. Non sempre si tratta di funzionari al fronte, con grandi impegni. E peggio ancora non si tratta di persone di 60 o più anni. Spesso hanno cinquant’anni o meno. Una situazione drammatica, sia dal profilo umano, sia dal profilo del funzionamento di un’istituzione chiamata a gestire le questioni di migliaia di cittadini. Avere un superiore competente ed efficace, realizzarsi con un lavoro stimolante e interessante, avere la possibilità di mettere in pratica le proprie idee, essere convinto dell’utilità e dell’importanza del proprio lavoro, sono tra le caratteristiche più preziose per un funzionario.
L’amministrazione cantonale ticinese, come qualsiasi altra istituzione, avrebbe necessitato anche in passato di riforme e miglioramenti. Per questa ragione, nel lontano 1991, il Sindacato della funzione pubblica (SSP/VPOD), in una pubblicazione2, aveva riassunto una serie di possibili riforme. Molte di loro sarebbero utili anche oggi. Eccone alcune:
- i dipendenti, a tutti i livelli gerarchici, devono essere coinvolti nell’organizzazione del lavoro; nelle decisioni importanti il personale dovrebbe essere coinvolto; deve essere assicurata la possibilità di denunciare le deci- sioni in contrasto con la legislazione vigente, prese dai vertici dell’amministrazione;
- nessuna decisione, né nella forma, né nella sostanza, deve ledere il pubblico dipendente nella sua dignità professionale o personale;
- al dipendente andrebbe garantita maggiore autonomia: ciò sgraverebbe il Governo da compiti meramente burocratici;
- il dipendente dovrebbe essere coinvolto nella scelta dei propri collaboratori;
- andrebbe creato un ufficio per favorire la mobilità del personale;
- andrebbe introdotto l’istituto dell’ombudsman per consentire al cittadino-utente di dialogare con l’amministrazione e al funzionario di formulare osservazioni o critiche sul funzionamento dell’amministrazione.
Nessuna di queste proposte, né nessun’altra intesa a migliorare l’amministrazione è stata adottata. Sempre e soltanto il Consiglio di Stato ha proposto peggioramenti. Anche nel preventivo appena adottato il Governo ha annunciato che intende attendere sei mesi prima di sostituire il personale che lascia l’amministrazione. Significa che. soprattutto nei settori particolarmente sollecitati, ci saranno attese e disagi.
L’iniziativa dell’UDC, si inserisce in questo scenario.
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Un’ultima osservazione. I fautori dell’iniziativa affermano che gli statali nel 2023 erano 5189, quindi pari all’1.45 della popolazione residente (357’720). Ma gli statali a tempo pieno erano solo 4412, quindi l’1,23% della popolazione residente.
1 Graziano Pestoni, Privatizzazioni, il monopolio del mercato e le sue conseguenze, FPC-VPOD, 2013
2 4967 – 555 OSC= 4412